5 dicembre 2012 – di
Amnesty International, nell’intento di diffondere i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e consapevole dell’ importanza dell’arte come mezzo di trasmissione di valori quali rispetto e tolleranza, organizza da 4 anni il Concorso “Walk on Rights”. L’edizione di quest’anno ha come tema “Diverso da chi? Suoni, parole e immagini della discriminazione in Italia” e tra i giurati di quest’anno figura Alice Banfi.
Alice è una pittrice con all’attivo numerose mostre collettive e personali, lavorando ed esponendo nella sua piccola galleria sul lungomare di Camogli, ed è una scrittrice con due romanzi autobiografici, “Tanto scappo lo stesso – Romanzo di una matta” (2008 – Ed. Stampa Alternativa) e “Sottovuoto – Romanzo psichiatrico” (2012 Ed. Stampa Alternativa). In entrambe Alice ha raccontato la sua storia di follia e riscatto e la realtà dei reparti e dei luoghi della psichiatria e di chi quei luoghi li vive, matti, anziani, disperati e dispersi tutti assieme in un folle girotondo dove alla fine quasi nessuno resta in piedi. Due romanzi di lotta dunque dove il lieto fine non è per tutti.
Ciao Alice, grazie per esserti resa disponibile a collaborare con Amnesty per il concorso Walk on rights, che quest’anno verte sulla discriminazione.
Attraverso l’arte e la scrittura parli del tuo calvario con la psichiatria: ricoveri, violenze psicologiche, contenzioni fisiche, fughe, successi e insuccessi. A proposito di tutto ciò hai scritto dei libri: Sottovuoto e Tanto scappo lo stesso, romanzo di una matta Nelle pagine dei tuoi libri fai la tua personale battaglia contro la psichiatria e narri della tua rinascita. Sette anni: ce li racconti a grandi linee ma soprattutto ci parli della svolta? Quale ruolo ha svolto l’arte nella tua storia?
A grandi linee: avevo un dolore, una sofferenza enorme e avevo un bisogno, che questa sofferenza venisse accolta, ascoltata. Quando andai a cercare aiuto venni risucchiata dal sistema psichiatrico e dalle sue istituzioni, ricovero dopo ricovero io, il mio dolore venne spogliato della dignità e la mia lotta da lotta interiore divenne battaglia contro i luoghi dell’orrore. Nella gran parte dei reparti psichiatrici il dolore non viene accolto, tutto ciò che viene fatto e’ nella direzione di soffocare il sintomo, nascondere, mettere da parte e custodire le persone con una sofferenza e renderle non pericolose, come se fosse la follia a rendere l’uomo cattivo, violento, pericoloso. L’uomo quindi non è’ più uomo ma malattia, sintomo non viene curato con le parole, con l’ascolto con gli affetti… Il farmaco e’ l’unico mezzo utilizzato e aime’ abusato. Farmaco e repressione, come se soffrire fosse una colpa. Ho passato molti anni tra un servizio psichiatrico e l’altro è non ho mai smesso di lottare contro, nonostante le punizioni, nonostante la contenzione fisica, nonostante sembrasse di sbattere contro ad un muro, io non potevo far altro che oppormi con tutta la forza che avevo, altri, più deboli, più buoni forse, si sono adeguati per sfuggire alle repressioni, altri sono ancora incastrati in questo sistema senza nessuna speranza di veder accolto il proprio dolore.In quegli anni non ho mai smesso di dipingere, a parte quando mi veniva requisito il materiale da disegno, l’arte, la creatività sono state per me un canale, di certo l’unico che non era un sintomo, per poter dire, parlare di me, di quello che sentivo, che desideravo, che vivevo. Purtroppo pero si può dire una stessa cosa scrivendo, disegnando, urlano, tagliandosi, digiunando e piangendo, ma se l’ascolto non c’è….non c’è e basta.La svolta, o meglio, una delle svolte e’ stato appunto l’ascolto. Ad un certo punto mi sono raccontata, ho dato voce ai matti, ho rappresentato quei luoghi e platee di persone mi hanno ascoltata e letta e creduta. Le mie parole hanno allora ritrovato il senso ed io pure. Questo e’ stato l’inizio della risalita, poi molto altro ha determinato la mia risoluzione, di certo mia figlia, ho una bambina meravigliosa…
Il tema di quest’anno, come detto, è la discriminazione in tutte le sue forme. In particolare, vorremmo che i partecipanti pensassero alle forme di discriminazione sul territorio nazionale, sotto casa insomma. Cosa ti aspetti dalle opere in gara, tenendo conto che si tratta di non professionisti?
Dalle opere in gare mi aspetto che mi raccontino qualcosa, che siano una fotografia del discriminato, dell’abbandonato… Magari che mi raccontino qualcosa che ancora non so’ o a cui non faccio caso ma è li, sotto i miei occhi.
Scrivi “Un’altra cosa strana della psichiatria è che difficilmente quelli che ci lavorano s’impegnano per capire chi sta male. Danno sempre la risposta sbagliata o più che altro danno farmaci” (Banfi, p. 70).
Lo stigma è un termine complesso che include problemi di conoscenza (ignoranza o mis-informazione), di attitudine (pregiudizio) e di comportamento (discriminazione).Nel caso della malattia mentale lo stigma è presente anche nella prassi quotidiana dell’esercizio della professione medica?
Si, lo stigma e’ presente eccome tra medici, medici psichiatri e infermieri, ci sono patologie più stigmatizzate di altre, ci sono luoghi comuni e pregiudizi che determinano poi l’atteggiamento del curante rispetto al paziente. Io ad esempio avevo una diagnosi di disturbo borderline della personalità, che per molti psichiatri e infermieri e’ semplicemente sinonimo di stronza, cattiva, falsa, manipolatrice, violenta. Questo non accade solo per ignoranza o per superficialità, ma anche per le posizioni che i medici scelgono di avere di fronte alla patologia al sintomo, Scordandosi delle persone! Quando ero incinta mi sono trovata vittima dei pregiudizi di un medico donna… Evidentemente pensava che visti i trascorsi non potessi essere una buona madre, amorevole e solida. Ho cambiato ginecologa, mi sembrava inutile in quella situazione provare a parlare ad un sordo! Spesso si confonde il dolore con altro, spesso la gente ha una visione caricaturale del matto. Mi e’ capitato molte volte che dell persone venissero da me a complimentar si perché mi credevano, mi immaginavano brutta, grassa, meno intelligente. Il matto non è brutto, ovviamente se gli si somministrano quintali di farmaci diverrà obeso e tremante e brutto…. Ma la follia non rende brutti. Il matto non è scemo, può essere intelligente, geniale o stupido, come chiunque altro, può essere buono o cattivo come chiunque altro, ecc… La differenza tra sano e folle credo sia semplicemente il dolore e il modo in cui questo dolore viene comunicato… Un modo stra-ordinario, fuori dalle norme e quindi anormale. L’eccezione fa spesso paura, mentre potrebbe incuriosirci o affascinarci o almeno interrogarci, e visto che la temiamo la allontaniamo, la deridiamo, la sotterriamo.
Il caso di Mastrogiovanni riempie le pagine dei giornali e occupa i telegiornali, in questo periodo . Durante il ricovero è stato legato mani e piedi a un letto senza un attimo di libertà, mangiando una sola volta all’atto del ricovero e assorbendo poco più di un litro di liquidi da una flebo. La sua dieta per tre giorni e mezzo sono stati i medicinali (En, Valium, Farganesse, Triniton, Entumin) che dovevano sedarlo. Sedarlo rispetto a che cosa non è chiaro, visto che il maestro non aveva manifestato alcuna forma di aggressività prima del ricovero.
Nei tuoi libri parli anche di morti, in seguito a contenzioni fisiche e overdose di farmaci. Dove finisce lo stigma con le sue conseguenze e inizia un vero abuso di potere con conseguenti violazioni dei diritti umani?
Non c’è un punto dove finisce una cosa e ne comincia un’altra, stigma e abusi vanno a braccetto. Quali abusi siete/ siamo disposti a tollerare? Solo la morte ci fa fermare e interrogare? “Mastogiovanni non era violento prima del ricovero” , e se lo fosse stato? avrebbe forse meritato di morire legato ad un letto? Quando si ammette che legare le persone e’ lecito in alcuni casi particolari, quando si spaccia la contenzione meccanica per atto di cura, si è già superato il limite e si permette inevitabilmente di legare sempre, chiunque, per qualunque motivo. Siamo disposti a tollerare che degli infermieri ci ridano in faccia perché ci siamo fatti la cacca addosso? ( effetti collaterali dei farmaci) o che un infermiere ci chiami ” cinciunla’ ” invece di chiamarci per nome, perché siamo cinesi? È mentre tutto questo accade siamo disposti ad accettare che un medico ordini di legare quello o quella, che sono agitati! Che non stanno fermi!? Questi sono principalmente i motivi delle contenzioni: “agitazione psicomotoria”. Tenete presente che legare le persone nei reparti di psichiatria, in alcuni più che in altri, e’ normale ( a proposito…) si tratta di prassi non di cosa straordinaria. Nel reparto in cui venivo ricoverata a Milano, ogni sera c’era almeno una persona legata, a volte due a volte di più, spesso tra quelli c’ero io. Le persone legate non vengono assistite, gli vengono dati farmaci per sedarle, non gli viene portata acqua o cibo o altro, io ricordo che per farmi portare da bere dovevo gridare con tutto il fiato che avevo in gola, a volte non mi usciva la voce. È possibile legare una persona in modo rispettoso? No, nel momento in cui si lega si nega l’umanità dell’altro e quando questo accade dopo non può che andare peggio, come e’ accaduto al maestro morto legato.
Amnesty International ha presentato in passato le conclusioni di una ricerca ed espone le proprie raccomandazioni per rendere gli ospedali psichiatrici e i centri di assistenza sociale conformi alle disposizioni del diritto internazionale in materia di diritti umani. (La ricerca è stata condotta in stretta collaborazione con il Comitato Helsinki della Bulgaria, un gruppo per i diritti umani che ha svolto dettagliati studi sul sistema di salute mentale nel paese e soprattutto sugli ospedali psichiatrici. Il rapporto di Amnesty International – presentato il giorno 14 ottobre 2002 a Sofia insieme al Comitato Helsinki della Bulgaria – definisce “scioccanti” le condizioni dei centri di assistenza sociale per adulti con disabilità mentale. Secondo l’organizzazione per i diritti umani, l’elevato numero di decessi riscontrato in questi centri è indice di negligenza medica e di mancanza di cibo e una temperatura adeguata. I degenti vengono limitati nei movimenti con cinghie e catene e isolati in piccole stanze o gabbie per periodi di tempo indeterminati.)
Cosa senti di chiedere ad un’organizzazione come Amnesty International?
Ad A.I chiederei di continuare a battersi perché i diritti di ognuno vengano non solo riconosciuti ma rispettati, bisogna battersi in Italia per una legge contro la tortura, per una legge contro la contenzione fisica, per leggi che tutelino chi soffre di disagio mentale e ci vuole una politica che supporti quelle realtà che fanno scuola, quei reparti senza contenzione, con le porte aperte… in Italia c’è ne sono diversi di luoghi così, luoghi che si propongono di curare e non di imbavagliare.
Un consiglio/augurio ai partecipanti e soprattutto un invito alle scuole?
Nessun consiglio particolare se non quello di dire la verità, di mostrare sinceramente se stessi e l’altro, i propri sentimenti attraverso l’opera. In bocca al lupo a tutti!!!
Annalisa D’Orazio (Team Walk on Rights)
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